9 maggio 2010

Il game-design giapponese non è morto (ma ha indubbiamente problemi di salute)

Quando un gioco a 5 stelle che doveva spaccare il mondo arriva sul mercato e si guadagna una media voto di 75/100 significa che le cose vanno persino peggio di come possa sembrare. I siti più importanti del mondo sanno benissimo che attirarsi le ire dei fanboy non gioca a loro vantaggio e spesso salvano in corner i giochi più attesi dal pubblico alzando i voti grazie a fattori quali grafica, sonoro, presentazione, di per se irrilevanti per capire se un gioco sia bello oppure no.

Quando si arriva al punto di mediovalutare Lost Planet 2 di Capcom 75/100 (al 10 maggio) significa che il prodotto fa veramente acqua da tutte le parti e che il design giapponese ha aggiunto una nuova tacca alla stecca dei fallimenti clamorosi degli ultimi anni. Non so se accusare di questa débâcle il povero Jun Takeuchi che riesce a congelare Lost Planet dopo avere interrato Resident Evil in precedenza (opinione personalissima) o se biasimare il sistema produttivo nipponico in toto.

Ma non è di LP2 che volevo parlare, nè della palese crisi in cui versa il videogaming nipponico in quasi tutti i suoi aspetti (design, narrazione, estetica, finanze), quanto piuttosto sfruttare l'occasione di un lutto per ricordare che qualcuno, là fuori, sta lavorando alacremente per salvare il salvabile e mantenere alto l'onore dei designer nipponici.

Demon's Soul (From Software | Playstation 3)
Conosciuto dai più per l'estrema dedizione che questo gioco necessita per essere apprezzato appieno, Demon's Soul brilla in realtà per parecchi aspetti quasi mai citati. Un inventario facilmente accessibile grazie alla croce direzionale, una storia narrata più per immagini che via noiosi dialoghi e un level-design legato ad un'iconografia europea gotico-medievale (simile al crepuscolare Berserk di Kentaro Miura) opposto ad un boss-design al 100% giapponese, ricco di creature bizzarre, originali, a volte sopra le righe ma comunque uniche ed irripetibili.
Demon's Soul è pura creatività nipponica unita ad una giocabilità solida e basata su poche ma precise regole.

Bayonetta (Platinum Games | Multipiattaforma)

Famoso per la sua protagonista, la sexy-strega che gli da il nome, Bayonetta è il tripudio di tutto ciò che di buono hanno sempre fatto i giapponesi: personaggi carismatici, gameplay calibratissimo sia per chi pigia bottoni a caso sia per chi vuole approfondire la giusta combinazione arma/accessorio, sonoro inusuale ma che calza perfettamente, grafica senza eccessi che tende più a stupire che a deludere.
Bayonetta si può riassumere in un'unica frase: puro divertimento e piacere di giocare. L'ultima ora di gioco è stata entusiasmante, impegnativa, galvanizzante tanto quanto le prime.
Bayonetta è il gioco perfetto perchè dura il giusto, non provoca noia nè frustrazione, è una sequenza quasi infinita di boss e semi-boss dal design ispirato e graziati da 60fps quasi sempre puntuali alla conta.

Super Mario Galaxy (Nintendo | Wii)
Difficile dire qualcosa che non sia mai stato detto e ripetuto infinite volte.
Alfiere di una console che per me si è rivelata una delusione totale portandosi nella tomba del gradimento anche i franchise di Metroid e di Zelda, SMG rimane un esempio supremo di videogioco 100% giapponese e 100% divertente. Mille cose da fare, sottogiochi, controlli perfetti, musiche sublimi, la tridimensionalità mai così ben sfruttata, Mario rimane IL personaggio videoludico per eccellenza.


E per il futuro? Dopo le recenti delusioni di Nier e Final Fantasy XIII, mi sento di scommettere senza paura su Vanquish di Platinum Games, Gran Turismo 5 e The Last Guardian di Team Ico, mentre prevedo nuove stroncature per Majin and The Forsaken Kingdom (Game Republic) e Quantum Theory (Tecmo), due giochi troppo simili ad altri per avere sufficiente forza e carattere per emergere vittoriosi. Spero di sbagliarmi.

Nessun commento:

Posta un commento